La storia di un mito
Bruce Lee nasce il 27 novembre 1940, a San Francisco, nel Jackson Street Hospital di Chinatown. Il padre, Lee Hoi Chuen, era un attore che in quel periodo era in tournèe in America; la madre, Grace, era di origine tedesca. Fu battezzato con il nome di “Lee Jun Fan”, “colui che torna”, poichè la madre credeva che un giorno sarebbe tornato negli Stati Uniti. Bruce era il suo nome inglese, ma non venne mai usato in famiglia, dove veniva chiamato “Sai fon” (piccola fenice), un nome femminile. Questo perchè i signori Lee avevano in precedenza perso un figlio, e in questo caso, secondo la tradizione cinese, per i successivi figli maschi si usava un nome femminile, per ingannare gli spiriti maligni che avrebbero potuto prendere la loro vita.
Bruce era il quarto di cinque figli; Phoebe e Agnes, le due sorelle, Peter, il fratello maggiore, e Robert, il fratello minore. Nel 1941 la famiglia Lee torna ad Hong Kong, e, insieme alla famiglia, già numerosa, vivevano anche la cognata del signor Lee e i suoi cinque figli, oltre ad alcuni servitori, arrivando ad un totale di circa 20 persone. Già da piccolo si meritò il soprannome di “mo si tung”, “quello che non sta mai fermo” (e mai un soprannome fu più azzeccato di questo!); la sua famiglia scoprì che l’unico modo per farlo stare fermo era dargli qualcosa da leggere… e lui leggeva per ore. Linda Lee, sua moglie, in un’opera dedicata alla vita del marito affermerà che “ricco o povero, Bruce ha sempre collezionato libri”; sottolinea anche il fatto che riusciva a concentrarsi sulla sua lettura in qualsiasi posto si trovasse, in una pausa sul set o in mezzo al chiasso e al movimento; ovunque andasse si portava sempre dietro un libro, anche quando sapeva che probabilmente non avrebbe avuto tempo per aprirlo.
Dopo aver frequentato la scuola elementare cinese, si iscrive al La Salle College; a questo proposito pare che lui fosse tutto, tranne che un allievo diligente; a quel tempo Hong Kong era ancora una colonia britannica, e tra i ragazzi inglesi e quelli cinesi evidentemente non correva buon sangue; bande di giovani sbandati, a volte vere e proprie gang, vagavano per le strade cittadine e le risse era pressochè all’ordine del giorno; Bruce Lee era uno di questi giovani: i suoi fratelli ricordano che, quando non gli piaceva qualcuno, glielo diceva dritto in faccia, nè c’era bisogno di chiedergli due volte di combattere. Probabilmente questo fu il motivo principale che lo spinse ad iniziare lo studio delle arti marziali; suo padre praticava il Tai Chi Chuan, ma non era esattamente ciò che lui cercava… Si iscrisse allora alla scuola di Wing Chun del famoso maestro Yip Man, diventando uno degli allievi più assidui. Oltre alle tecniche fisiche, alla scuola di Yip Man venne a conoscenza del pensiero taoista e delle filosofie di Buddha, Confucio, Lao Tzu e di altri maestri.
Un giorno, alla scuola di Wing Chun di Yip Man venne lanciata una sfida da parte della Choy Lee Fu School: i due gruppi si incontrarono sul tetto di una palazzina, nel quartiere di Resettlement. Quella che doveva essere un serie di confronti a due si trasformò in una rissa furiosa, quando un allievo dell’altra scuola fece un occhio nero a Bruce, e lui reagì ferocemente, in preda alla rabbia, ferendolo seriamente al volto. I genitori del ragazzo denunciarono Bruce, che allora aveva 18 anni; la madre gli consigliò di partire per gli Stati Uniti (dove, tra l’altro, era nato), poichè capì che il futuro ad Hong Kong era per lui piuttosto limitato. Il viaggio in nave verso gli States durò 18 giorni; durante la traversata, impartì alcune lezioni di cha-cha-cha ai passeggeri di prima classe (ad Hong Kong era stato campione di questo ballo); nel suo repertorio aveva oltre 100 passi di danza!
Anche negli States si trova sovente coinvolto in risse, più che altro causate dal colore della sua pelle; probabilmente in queste situazioni inizia a rendersi conto dei limiti del wing chun. Trasferitosi a Seattle, lavora come cameriere in un ristorante; completa gli studi liceali all’Edison Tecnical School e, in seguito, ottiene una specializzazione in filosofia alla Washington University. Non gli è difficile radunare attorno a sè amici o curiosi interessati alla sua arte particolare, il kung fu, che allora era veramente semi-sconosciuta al di fuori delle comunità cinesi. Il suo primo obiettivo era quello di diffondere la sua arte in tutti gli Stati Uniti; in una lettera scritta ad un suo amico, parla di questo progetto dicendo che intendeva realizzarlo entro un termine di 10-15 anni. In seguito, per motivi particolari, abbandonò il progetto, anzi chiuse tutte e tre le succursali della sua scuola, il Jun Fan Gong Fu Institute (le altre due erano dirette da Dan Inosanto, a Los Angeles, e J. Yimm Lee, a Oakland).
Dal suo proposito iniziale si capisce che egli intendeva insegnare il kung fu a chiunque avrebbe dimostrato un animo adatto ad impararlo, a prescidere dal colore della pelle: benchè fosse stato più volte vittima del razzismo, non aveva ideali razzisti o di vendetta. All’apertura della scuola, il suo primo allievo fu un ragazzo di colore, Jesse Glover. Negli ambienti del Kung Fu vigeva però una regola non scritta: l’arte non doveva essere insegnata al di fuori dei cinesi, per timore che, se ciò fosse accaduto, gli stranieri ne avrebbero approfittato per fare loro del male. Bruce Lee considerava questo modo di pensare piuttosto antiquato, affermando che, se qualcuno voleva veramente fare del male a un proprio simile, non aveva certo bisogno di conoscere il Kung Fu. Il fatto che lui fosse disposto ad insegnare anche ai non cinesi però non andava giù agli altri maestri. Per questo motivo un giorno si presentò, presso la sua scuola a San Francisco, uno sfidante in rappresentanza della comunità marzialista della città, accompagnato da alcuni colleghi cinesi; se Bruce avesse perso il confronto, avrebbe dovuto chiudere la scuola, oppure smettere di insegnare ai bianchi. Messo di fronte a questa situazione, Bruce apparve molto determinato, sconcertando il suo sfidante, che quasi tentò di ritirare la sfida o per lo meno di ridurla ad un incontro di allenamento con alcune regole protettive. Lee non accettò il compromesso, la sfida era stata lanciata e lui l’aveva accolta: dopo pochi istanti di combattimento, gli uomini che avevano accompagnato lo sfidante cercarono di fermare Bruce, che stava predendo il sopravvento, ma James Lee lì ammonì di lasciar correre. Ad un certo punto, per sfuggire alla raffica di colpi, allo sfidante non restò che… iniziare a scappare per tutta la stanza, con Bruce che gli correva dietro {che scena! n.d.r.}; alla fine Bruce riuscì a prenderlo e a scaventarlo a terra, dove, su sua domanda, lo sfidante dichiarò di averne abbastanza… Fu l’ultima volta che la comunità marziale di San Francisco lo minacciò direttamente.
Benchè avesse vinto il combattimento, Bruce era piuttosto nervoso e affaticato: aveva sudato non poco per riuscire a prendere l’avversario per finirlo; questo lo spinse a cercare nuovi metodi di allenamento, e a creare nuove attrezzature, che di solito venivano poi realizzate da Herb Jackson, un falegname suo amico e allievo. Anche il classico uomo di legno del wing chun subì diverse modifiche, tra le quali l’aggiunta di una “gamba”, atta a simulare la gamba dell’avversario. Fu il primo ad adottare, per la pratica di un’arte marziale, attrezzi come punching ball, sacchi e guantoni fino ad allora usati quasi esclusivamente dai pugili. Ma il miglior allenamento in assoluto restava il combattimento contro un avversario/compagno.
Trasferitosi in California nel 1964, approfondisce il suo studio rivolgendo la sua attenzione ad altre discipline, come il Kali (con il suo amico ed allievo Dan Inosanto), il Judo, il Pugilato, la Lotta libera, il Karate e altri stili di Kung Fu. Con il tempo, si costruì un’immensa biblioteca contenente volumi su ogni genere di stile e su ogni tipo di arma. Sempre del 1964 è la sua famosa esibizione, in occasione degli Internazionali di Karate di Long Beach, ai quali intervenne su invito di Ed Parker. Dalla sintesi, o, sarebbe molto meglio dire, dall’elaborazione di tutti questi studi, nasce il suo Jeet Kune Do, “la via per intercettare il pugno”; paradossalmente, a un certo punto decide di chiudere tutte e tre le filiali della sua scuola, accettando, da lì in avanti, soltanto allievi privati.
Prese questa decisione in quanto si rese conto che era troppo facile per una persona entrare nel suo kwan e considerare l’insegnamento come la “verità” o la “via” universale… secondo lui non esisteva una via universale per raggiungere i propri scopi, e il credere in una “via” era quindi un’illusione. Il fatto di avere solo allievi privati lo aiutava molto nel seguire personalmente l’allievo stesso, personalmente nel senso che il suo insegnamento era modellato secondo la persona che aveva da istruire; secondo la testimonianza di Dan Inosanto, non diceva mai la stessa cosa a due allievi, ma costruiva tutto su una base individuale, tenendo anche conto della caratteristiche fisiche peculiari di ognuno.
Bruce Lee è conosciuto anche ai non praticanti soprattutto nelle vesti di attore: in questo senso era figlio d’arte, fatto che gli permise di iniziare la carriera sul set già da bambino, ad Hong Kong: l’ultimo film della sua carriera giovanile fu The Orphan , del 1958. In seguitò fu il co-protagonista (Kato) della serie The Green Hornet , e più avanti realizzò i film che lo resero famoso, tra i quali The Big Boss, Fists of Fury, Game of Death, Enter The Dragon.
Nel 1970, a causa di una leggerezza (tentando di sollevare un certo peso senza aver prima fatto un adeguato riscaldamento), si procura un infortunio alla schiena, che lo costringe a letto per sei mesi: si può facilmente immaginare come possa essere stato per lui, sempre in moto perpetuo, questo periodo di forzata inattività; il suo corpo era come prigioniero, ma non la sua mente: è in questo periodo che inizia a scrivere i suoi appunti, che riempiranno otto volumi; una parte di questi è stata pubblicata, dopo la sua morte, ad opera della moglie, Linda, dalla quale ebbe due figli: Brandon (1965-1993) e Shannon, nata nel 1969. Nonostante i medici gli avessero pronosticato che non sarebbe più riuscito a praticare, riprese gradatamente l’attività, anche se il dolore alla schiena restò sempre un problema.
Bruce Lee scompare improvvisamente il 20 luglio 1973; la comunità marziale resta ammutolita e stupefatta di fronte alla sua morte: come è facile immaginare, iniziarono a girare le voci più disparate, per esempio che sarebbe stato ucciso dai maestri tradizionalisti, oppure da alcuni produttori cinematografici che non avevano ottenuto il suo consenso; alcuni non credettero neanche alla sua morte, e aspettarono il suo ritorno. La versione ufficiale parla di una reazione allergica ad un componente di un farmaco, l’Equagesic, da lui utilizzato per curare l’emicrania. Al suo funerale, ad Hong Kong, partecipò una folla immensa, 23.000, o forse 25.000 persone; una seconda funzione, in forma privata, ebbe luogo a Seattle, dove è stato sepolto, al Lakeview Cemetery.
Bruce era in buoni rapporti con Ed Parker e John Rhee, pionieri rispettivamente del Karate e del Taekwon Do in America, ed ebbe numerosi allievi, tra i quali i già citati Dan Inosanto, J. Yimm Lee e Jesse Glover, e inoltre Taky Kimura, Steve McQueen, Ted Wong, James Coburn, Jerry Poteet, Daniel Lee, Al Wolin, Herb Jackson, Larry Hartsell, Robert Lujan, Doug Palmer, Mike Stone, Chuck Norris, Joe Lewis e diversi altri. I suoi insegnamenti sono, ancora oggi come allora, oggetto di studio di moltissimi praticanti ed artisti marziali, desiderosi di apprendere un po’ della sua tecnica e della sua qualità: ma, come disse lo stesso Ed Parker, “Di Bruce ce n’era uno su due miliardi”.